Rafael Alberti, il famoso artista andaluso

Rafael Alberti nasce nel 1902 a Cadice, in quell’Andalusia marittima che sempre ricorderà con nostalgia. Da giovane frequenta il collegio dei Gesuiti, e questi anni saranno per lui fonte di eterna amarezza: gli anni del collegio sono anni in cui si sente particolarmente perseguitato ed avverte l’incapacità delle istituzioni religiose a dare una completa preparazione agli allievi che frequentano questi istituti.

Solo nel 1917, quando la famiglia si trasferisce a Madrid, Rafael Alberti inizia a respirare un’aria diversa. Da una parte la città culturalmente ricchissima, gli offre innumerevoli spunti e un continuo misurarsi con i suoi contemporanei (tra cui Lorca, Dalì e Bunuel), tanto che il giovane artista, attratto allora dalla pittura si iscrive all’Accademia delle Belle Arti.

Durante questo periodo si avvicina ad autori che – come Lorca – ripropongono una poesia fatta di versi oscuri, temi poco chiari e spesso complicati, e facendo parte di questo gruppo Alberti comporrà la raccolta di versi “Cal y Canto”. D’altra parte l’avvicinarsi alla letteratura di quest’epoca comporta un confronto con la politica del paese, e Alberti – consapevole del ruolo centrale che l’uomo di lettere deve svolgere per il suo paese diverrà il cantore dell’elegia civica spagnola, fondando dapprima la rivista “Octubre” – di aperta opposizione alla dittatura”, e scrivendo una serie di opere in cui si cantano Madrid e la Castiglia come vittoriose, soprattutto in “El alba del Aljelì” e “Madrid capital de la gloria”.

Con lo scoppio delle Guerra Civile, Alberti propugna le proprie idee anti dittatoriali in modo fermo e deciso, e per questo viene esiliato. Si sposterà dall’Europa al Sud America, mantenendo sempre saldi i suoi temi più cari: l’avversione verso le dittature e l’amore per l’arte – soprattutto la pittura.  A questi due filoni tematici sono dedicate le sue opere dell’esilio “13 bandas y 48 estrellas”, scritto durante l’esilio in Argentina in cui condanna duramente lo sfruttamento degli Stati Uniti nell’America del Sud, e “Noche de Guerrra en el museo del Prado”, in cui racconta come sia riuscito a far uscire le opere d’arte più prestigiose dal museo del Prado e a farle arrivare in Francia durante la Guerra Civile.

Solo alla morte di Franco, nel 1977 Alberti potrà tornare nell’amata Cadice, luogo di quell’infanzia felice ed idealizzata che ha sempre rimpianto, dove morirà nel 1999. Nel 1983 ottenne il “Premio Cervantes”.

La figura di Rafael Alberti è estremamente complessa, e non si limita a quella di un autore esiliato. C’è nel suo scrivere una profonda tristezza ed una profonda amarezza per le sorti del suo paese, ma anche delle sue come uomo.

Già nella sua prima opera “Marinero en tierra” (1924) prevale la nostalgia di chi, nato sul mare vive nella chiusa Castiglia – Madrid. Presenta in questa raccolta un mondo cristallino colto nella purezza della metafora marina, insieme alla grazia e alla leggerezza del ricordo infantile. Rievoca la vita nella baia di Cadice, cantando con nostalgia l’azzurro mare dell’infanzia, contrapposto alla chiusa geometria della capitale.

Successivamente il suo diverrà un vero dramma esistenziale che sfocerà nell’opera teatrale “El hombre deshabitado”, e soprattutto in “Sobre los angeles”, del 1929, l’opera per cui è più conosciuto.

“Sobre los angeles” è l’autobiografia di una crisi esistenziale che consiste nell’abbandono delle certezze rappresentate dalla città natale, dalla scuola, per un mondo in cui Alberti non si identifica e non si ritrova. È un libro surreale, che riporta a quella parte della poesia surrealista scritta di getto, senza la mediazione della ragione, anche se Alberti ha sempre negato di appartenere ai movimenti di avanguardia.

Il libro è strutturato in tre parti più un prologo, che hanno lo stesso titolo “Ospite nella nebbia”, ad indicare l’impossibilità di Alberti di vedere una soluzione, una fine al suo dramma. È una raccolta di 50 poesie brevi, scritte in modo duro con accostamenti di immagini che normalmente non si facevano in letteratura.

Chi sono però gli Angeli che Alberti raffigura ?

Sono figure allegoriche che mantengono la visione classica dell’angelo, ma sono anche la loro completa negazione, il loro opposto, perchè sono in realtà la trasposizione di sentimenti e sensazioni dell’autore. Alberti stesso li definisce “irresistibili forze dello spirito modellabili sugli stati più oscuri e segreti della mia natura”, o anche come “tutta la desolazione, la tristezza, la crudeltà e a volte il bene che c’era in me e che mi circondava”. Sono in realtà figure celesti enigmatiche, viste come personificazione degli stati d’animo scossi e turbati da una violenta crisi interiore. Le figure alate hanno natura oscura ed enigmatica, essi emergono da profondità insondabili, dal malessere interiore del poeta: sono angeli bellissimi o orribili, angeli del bene e del male, che irrompono con furiosi scoppi d’ira o scendono con violenza sulla nudità dell’anima, traducendo un profondo e violento conflitto interiore.

rafael alberti

Il tono dell’opera è morale e profetico, il linguaggio è un barocco, che riproduce immagini immediate, quasi cinematografiche, ed il tema principale è quello del giudizio e della condanna. È l’ ossessiva ricerca di un paradiso perso per sempre. Ci sono dei momenti di speranza, puntualmente ridotti a niente da una incessante lotta interiore.

Alberti scrive “Sobre los angeles”, in un periodo di profonda crisi: non è contento del suo lavoro di letterato, e non sa come trovare quella agognata pace dell’infanzia felice, che gli potrebbe permettere di tornare a scrivere nel modo che lui ama, ma per far questo, afferma, dovrà : “ rifugiarmi negli stati oscuri e torbidi della mia mente, e torneranno i miei angeli”;“avevo perduto un paradiso, quello dei miei azzurri….ospite della nebbia iniziai a scrivere come un automa”.“Sobre los angeles” è un affondare in se stesso, nelle sensazioni, emozioni, ricordi. Alberti ci porta in un mondo che non è il paradiso: è un viaggio allegorico che intraprende dentro se stesso, al fine di trovare ciò che crede sia “la porta del paradiso”. I limiti di questo mondo sono il cielo e l’inferno, presentati come costante lotta tra Lucifero e gli Arcangeli, tra gli angeli fedeli e i ribelli, dove il mondo terreno è più vicino all’inferno che al cielo. Alberti adotta la posizione di giudice di se stesso e dell’umanità e la sua conclusione identifica come “inferno” la mente e l’anima dell’uomo. Con quest’opera Alberti confessa di aver scoperto che per vivere si deve soffrire, che ha più forza la certezza della morte che la promessa della vita; che l’inferno è più visibile e palpabile del cielo. Tutto questo si scontra con il passato idilliaco che propone in certe parti, che però non riporta date o momenti specifici, ed è quindi un passato incollocabile, idealizzato. L’opera risulta come il frutto della fortezza che Alberti ha costruito attorno a se, e della sua franchezza psicologica. Solo un poeta dotato di un forte equilibrio mentale e di una straordinaria capacità immaginativa poteva pensare un’opera simile, che costituisce al tempo stesso il proprio superamento: quello di un uomo che afferma se stesso.

Alla fine ci può essere la speranza di una rinascita ?